Sai qual è un aspetto che ha ritardato moltissimo la mia guarigione e la costruzione di un rapporto sereno con il cibo?

La ricerca della soluzione magica!

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“Bulimia” di informazioni

Intendiamoci, non lo dicevo così apertamente, anzi probabilmente non ne ero consapevole e non riuscivo a tradurlo in parole in modo preciso e puntuale.

Ad ogni modo, quello che facevo era cercare sempre la nuova strategia che mi permettesse di uscire finalmente da quello che per me era un tunnel senza uscita.

Non c’era libro, corso, film, guida di auto aiuto o approccio che non conoscessi.

O meglio, che non credessi di conoscere, perché questa frenesia puntualmente si traduceva in una sorta di “bulimia di conoscenza”, in cui raccoglievo montagne di informazioni ma spesso non mi concedevo il tempo giusto per lasciarle sedimentare. Come se solo fare qualcosa fosse importante e in questo modo non riuscivo mai ad entrare in profondità. A capire come funzionavo e come mi sentivo.

La ricerca della soluzione magica

Cercavo, in sostanza, una soluzione magica che mi permettesse di guarire. Delegavo ad altro, questa magica panacea, la responsabilità della mia guarigione. Ma la guarigione non è un processo ON-OFF, non succede nottetempo ma, come tutti i percorsi di crescita, prevede stalli, momenti in cui apparentemente si fa un passo indietro e passi avanti. Infatti di essere “guarita”  me ne sono resa conto a posteriori. Molto a posteriori.

Cosa significa per te essere “guarita”?

Uso il termine guarita tra virgolette perché io credo che la linea tra salute e malattia, in questo caso specifico, sia davvero molto labile. E’ sempre riduttivo usare delle etichette perché si appiattiscono dei concetti che invece hanno molte dimensioni. Cosa significa essere guarita? O meglio, cosa significa PER TE essere guarita? Non avere più certi comportamenti cosiddetti disfunzionali? Non avere più il pensiero fisso del cibo? Smettere di abbuffarti, di digiunare, di vomitare? Come vedi ci sono tantissime aspetti da prendere in considerazione e ti invito a chiederti cosa significa per te essere guarita e prenderti il tempo per rispondere, elencando tutte le cose che ti vengono in mente. Ti consiglio di scrivere la domanda su un foglio, rimanere aperta a quello che arriva e tornarci anche più tardi o nei prossimi giorni. Ricorda che non ci sono risposte giuste o sbagliate ma ci sono solo le tue personalissime risposte.

Per quanto mi riguarda la guarigione è intesa come libertà di poter scegliere cosa mangiare in base a fame e desideri, leggerezza nel vivere pasti non programmati, abbandono del perfezionismo e flessibilità nel gestire l’alimentazione nel suo complesso. Senza compartimento stagni, regole rigide e divieti assoluti

La differenza, per me, l’ha fatta il prendere la decisione di immergermi completamente in una scelta.

Anche qui non l’ho deciso a tavolino un lunedì mattina, semplicemente ho capito, man mano provavo e facevo errori che le cose hanno iniziato a funzionare quando ho preso questa decisione.

Immergermi completamente in una scelta

Provo a spiegarmi meglio: intendo quando mi sono data il permesso di provare. Mi sono autorizzata ad essere completamente dentro ad un percorso.

Prima collezionavo informazioni, prendevo un po’ di qua e un po’ di là, sposavo tesi e teorie decontestualizzate e poi mi lamentavo perché non funzionavano. È come se, per fare un parallelo con le diete, prendessi un po’ della dieta chetogenica, un po’ della paleo, con un pizzico di dieta dell’indice glicemico e una spruzzata di digiuno intermittente. Ne uscirebbe qualcosa di assurdo e insostenibile.

Senza un filo logico. Allo stesso modo mi comportavo con i diversi approcci non realizzando che questo stesso comportamento era un meccanismo di difesa. Se non investo al 100% in un metodo, non posso nemmeno perdere il 100%, posso sempre dirmi che alla fine non ci credevo poi molto e che bastava impegnarmi di più.

Il giochino della soluzione magica

È solo quando, esausta da questo giochino (inconsapevole, lo ribadisco, non si tratta di fare apposta scelte razionali), ho deciso di dire un grande “stop” e fermarmi a stare davvero in qualcosa che le cose hanno iniziato a cambiare in meglio. E la cosa paradossale è che il tipo di percorso, a un certo punto, è stato ininfluente l, quello che era immensamente cambiato era l’intenzione e la modalità con cui io mi approcciavo ad esso

Quando ho scelto di smettere di cercare la soluzione magica ma di impegnarmi nel rendere magica per me la soluzioni in che stavo esplorando.

Che nella pratica significava:

  • Osservare i pensieri critici su quanto non fossi capace e quanto fosse stupido e banale quello che stavo facendo
  • Prendermi il tempo per fare esercizi che la mia mente razionale trovava inutili
  • Osservare e stare con tutte le emozioni fastidiose che arrivavano lasciando andare l’idea che il miglioramento avvenga in modo lineare e che le emozioni negative non siano comprese nel pacchetto
  • Smettere di focalizzarmi sul quando sarei stata finalmente bene e iniziare ad osservare e celebrare i piccoli traguardi raggiunti.

Che fosse riuscire a mangiare fuori senza ansia, riuscire a non finire un pacco di biscotti in 20 minuti o essermi abbuffata due volte in una settima anziché tre, poco importava. L’importante era notarlo e metterlo da parte come un piccolo traguardo che avevo raggiunto e nessuno mi poteva togliere.

Obiettivo vs percorso (domani vs oggi)

In sintesi, ho smesso di guardare sempre e solo a un domani in cui sarei stata guarita e felice per concentrarmi su un oggi in cui potevo permettermi di essere a volte felice. Sperimentare tutte le scale di grigi per sentire anche con il corpo che potevo e posso entrare nella tristezza senza farmi annientare e che qualche volta giornata buia non offusca il sole che sto costruendo pian piano, rimanendo con me ogni giorno. Scegliendo di non mollarmi.

Non a caso tutti noi che abbiamo sperimentato un rapporto conflittuale con il cibo abbiamo tremendamente fretta: di guarire, di finire di mangiare, di mangiare quando abbiamo fame…rallentare è una delle cose più difficili che ci possa venir chiesto di fare.

Perché rallentare implica stare con quello che c’è, affrontare i mille giudizi negativi che ci arrivano alla mente, non potersi distrarre con i nostri metodi conosciuti. E questo è davvero spaventoso per chi si è abituato a usare la distrazione come metodo per tollerare le emozioni scomode.

Quello che ti posso suggerire, e non ha la pretesa di essere la ricetta magica ma solo il frutto di esperienza personale e professionale su decine di donne, è di scegliere un percorso, un metodo, un approccio ed iniziare veramente a “starci dentro”. Prendilo come un esperimento senza investirlo della responsabilità di essere l’ultima spiaggia (quella soluzione magica!) ma con la curiosità di vedere cosa succede. E ripeti.

 

 

 

Immagine da Freepik

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